La democrazia digitale non si esprime con like ma discute, valuta, decide. Dalla Spagna un’onda che coinvolge tutta Europa.
Di cosa parliamo quando parliamo di Civic tech? Non esiste una definizione univoca, perché ogni volta si ha a che fare con aspetti diversi di un fenomeno. Sostanzialmente possiamo intendere ogni spazio civico in cui la tecnologia modifica sostanzialmente il modo in cui il governo (di una città, di un territorio o di una Nazione) gestisce il suo rapporto con i cittadini.
Sono Civic Tech tutte le pratiche come l’open government, gli open data, il fenomeno delle smart cities, e tutte quelle organizzazioni che il governo si dà per essere più coinvolgente e trasparente.
Se vogliamo andare ancora più nel dettaglio, possiamo distinguere fra Gov Tech e Civic Tech, termini che a volte vengono utilizzati indistintamente ma che sinonimi non sono. Le Gov Tech sono le tecnologie utilizzate nell’ambito della pubblica amministrazione per migliorarne la digitalizzazione, l’efficienza ed erogare migliori servizi ai cittadini; le Civic Tech sono tecnologie messe a disposizione dei cittadini che vengono utilizzate dalle persone per migliorare la comunicazione e la collaborazione tra di loro, favorire una attiva partecipazione al bene comune ed alimentare il cambiamento sociale. Sono le tecnologie che abilitano l’impegno e la partecipazione attiva dei cittadini per il bene comune. La Civic Tech ha quindi bisogno di un coinvolgimento reale dei cittadini su vasta scala. L’interesse per questo ambito di sviluppo è dimostrato dall’imponente piano che la Commissione Europea gli ha dedicato: Horizon2020 raccoglie infatti progetti e indicazioni di azioni rivolte alle tecnologie civiche.
In Europa, l’esempio più nitido di spazio in cui si incontrano tecnologia e pratica civica è la piattaforma Decidim.Barcellona. Nata nel 2016 per volontà del governo comunale della città catalana, Decidim è diventata un vero e proprio punto di riferimento per quanti si occupino di Civic Tech.
Il contesto in cui nasce è sicuramente quello di una delle crisi più grandi degli ultimi decenni del sistema politico tradizionale e del crollo della fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni. In Spagna movimenti come gli Idignados, in Italia movimenti come il popolo viola, in Francia movimenti anche più violenti come i Gilet Jaune, sono l’espressione non solo di protesta ma anche di voglia di trovare nuove vie di partecipazione e di essere ascoltati. Piattaforme private, anche se utilizzate dalla maggior parte della popolazione, non garantivano il pieno rispetto della neutralità e una espressione di pensiero non conflittuale. Le consultazioni tradizionali, come il referendum, appaiono limitate.
Nasce la pratica di partecipazione digitale, che non si limita al sì o al no, che non si esprime con un like, ma che consente di informarsi, collaborare, discutere, contestare, contribuire a un processo decisionale monitorare e certificare.
Decidim è nata appositamente con questo obiettivo, per essere una infrastruttura pubblica progettata assieme alla cittadinanza. La piattaforma è stata realizzata come software libero, utilizzato nel giro di pochi anni da molte città in Europa e nel mondo, da alcuni partiti politici e recentemente dal Dipartimento della Funzione Pubblica e Dipartimento per le Riforme istituzionali attraverso lo spazio ParteciPA.
Anche in Sardegna, sulla scia di questo movimento civico-tecnologico, sono nate piattaforme di civic tech come EuPuru! (https://www.eupuru.eu/) all’interno delle quali è possibile attivare discussioni di contenuto pubblico, organizzare eventi, lavorare in modo partecipativo al bene comune.
Le piattaforme di civic tech prendono sempre più piede nella nostra realtà e mettono insieme digitale e reale in modo creativo. Che ruolo, quale impatto possono avere sul territorio? Quale funzione possono assolvere per la P.A. ed il terzo settore impegnato in una missione di sviluppo del capitale sociale?