L’opera d’arte nell’epoca della tecnologia.
Rischi e opportunità nascono dall’intreccio intimo e antichissimo di tecnologia e arte.
“Ciò che sfiorisce nell’era della riproduzione tecnica è l’aura che circonda l’opera d’arte”. Così il filosofo Walter Benjamin, quasi novant’anni fa, definiva l’arte tecnologica della sua epoca, cinema e fotografia. La riproducibilità dell’atto creativo disperdeva per sempre quell’hic et nunc che fino ad allora era indissolubilmente collegato alla sua fruizione.
Nei decenni seguenti il rapporto con l’opera d’arte da parte del pubblico si è progressivamente modificato, rendendo sempre più difficile distinguere fra arte e comunicazione popolare di massa. Oggi lo strumento tecnologico è spesso considerato un alleato dell’attività artistica sia nella composizione dell’opera che nella sua fruizione. Il digitale e le esperienze “immersive” sono comuni per chiunque visiti musei e mostre. Una tendenza amplificatasi negli ultimi anni, probabilmente a causa delle innumerevoli evoluzioni proprio della tecnologia a supporto non solo dell’arte ma anche di brand e aziende.
L’avvento dell’intelligenza artificiale poi, ha cambiato non solo il modo di lavorare, ma il mondo del lavoro stesso di creativi ed illustratori. Programmi che sono passati, nel giro di pochi mesi, da tecnologia di frontiera per pochi a strumento disponibile a tutti, hanno dato il via a prospettive di sostituzione lavorativa. Secondo alcune stime, l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla ricchezza mondiale sarà di 15mila miliardi di dollari entro il 2030, con il 40% dell’intera economia mondiale che sarà legata all’IA. E l’illustrazione sembra la prima frontiera di questo cambiamento.
Il mondo dell’arte ha già cominciato ad interrogarsi se l’intelligenza artificiale possa considerarsi artistica, e se i programmi text-to-image siano in grado di produrre risultati artistici, e se sì in quale senso. Per altri, porsi queste domande sarebbe come chiedersi se la pittura a olio, la serigrafia o l’acquerello producano automaticamente arte.
Lo scorso anno a Firenze ha avuto grande successo una mostra dedicata interamente a NFG e arte digitale, suscitando curiosità attorno a questo nuovo modo di fruire, creare e scambiare l’arte. NFG sta per Non Fungible Token. Un “certificato di autenticità digitale”, che attesta l’originalità e la proprietà di un bene materiale o digitale, utilissimo per tracciare la proprietà di file digitali. Un incontro di arte e tecnologia che ha creato tutto un suo glossario ad esso collegato specifico dunque, come Criptoarte, Blockchain, Minting, Smart Contract.
Ma se la parola tecnologia deriva dal greco “techne” arte di saper fare, e “logia”, discorso, trattato, allora è proprio la stessa etimologia che ci suggerisce l’intreccio indissolubile di questo rapporto. Da sempre gli artisti si sono basati sulle conoscenze tecnologiche e sull’ingegno per trovare materiali e strumenti per esprimere il proprio mondo. La tecnologia – in senso amplissimo – ha da sempre influenzato la creazione, ma ha determinato il passaggio a funzioni diverse e a diverse possibilità di fruizione. Dalle prime immagini rupestri, con cui i cacciatori preistorici fissavano le loro prede, fino alla fotografia, passando per le invenzioni leonardesche, la storia dell’arte è una ricerca continua di nuove tecniche espressive. E allora possiamo affermare come fece Paul Delaroche, nel 1839, alla nascita della fotografia, che “da oggi la pittura è morta?” La questione pone infinti interrogativi che risuoneranno ancora per molto tempo.
Il connubio fra arte e tecnologia rappresenta anche nel nostro territorio un potente medium di racconto e costruzione delle basi di un’economia della Cultura dai caratteri contemporanei. Come e dove liberarne le potenzialità? Di quali nuove competenze abbiamo bisogno? Quali sono i modelli cui ispirarsi?